Immagina
che questo quartiere sia stato costruito per accogliere/raccogliere la gente
che non si addice alle sfavillanti vie del centro: extra-comunitari di ogni
epoca, rom, poveracci e poco di buono. E come sia diventato dopo quarant’anni
di incuria da parte delle amministrazioni di ogni orientamento politico.
E
adesso immagina un posto, dove la gente si saluta ancora per strada e dove i
rom, che non abitano nelle roulotte, ma nelle case, svolgono un’azione sociale,
di recupero dei ragazzi dalla strada.
Mi
dirai: «È un altro posto».
Ti
dirò: «È lo stesso».
Siamo
nella periferia sud della città di Pescara, nei quartieri di San Donato e Villa
del Fuoco. È qui che si svolge la nostra storia.
Pescara
è nota come “la città degli zingari”, perché loro sono stati i primi abitanti,
e nel quartiere le due comunità, quella rom e quella gagè, cioè non rom,
convivono da sempre, attente, però, a evitare qualsiasi tipo di rapporto. La
diversità, additata da tutti come la causa di questo stato di cose, appare un
muro insormontabile che ha sempre scoraggiato non solo l’avvicinamento, ma
perfino il pensiero di un possibile approccio.
La Palestra
è un progetto di docu-fiction che nasce dal lavoro che il regista Francesco
Calandra porta avanti da anni sul suo quartiere: San Donato.
L’esigenza
dell’indagine sulle periferie è scaturita dalla volontà di opporsi a una
“letteratura” che mostra questi quartieri soltanto quali vivai di violenza e
illegalità, per mettere in risalto quanta Bellezza si possa ancora trovare
nell’autenticità e genuinità della maggior parte dei cittadini che li abitano.
Ma
cosa succederebbe se alcuni ragazzi rom e gagè si ritrovassero insieme a
partecipare a un laboratorio di recitazione ripresi da una troupe
cinematografica?
Questa
è stata la sfida che il regista e i suoi collaboratori si sono posti
nell’estate 2007, quando hanno deciso di cominciare a lavorare sul film. Hanno
condotto un laboratorio cinematografico a cui hanno partecipato un gruppo di
attori professionisti, alcuni ragazzi gagè non attori e tre ragazzi rom del
quartiere. L’obiettivo era quello di lavorare su una sceneggiatura di fiction
che raccontava la storia dell’amore contrastato fra un ragazzo gagè e una
ragazza rom.
L’esperienza
del laboratorio è durata appena qualche mese, ma è stata sufficiente per mettere
in discussione l’intero copione.
Regista
e collaboratori hanno deciso che il film sarebbe diventato altro.
il progetto
La Palestra
è una
docu-fiction che racconta il tentativo di un regista che vuole fare un film sui
rom della sua città, anzi “con i rom”, come lui stesso precisava. Ma, una volta
a contatto con questo mondo, il progetto del regista viene subito messo in
discussione: la realtà immaginata non corrisponde a quella vera della comunità
rom. Non senza resistenze e ingenuità, il regista, allora, si lascia pian piano
trasportare in quel mondo, che finora aveva conosciuto con le lenti della
stereotipia, e ne scopre il valore e la bellezza.
L’intenzione
è di raccontare quello che è stato sperimentato all’interno del laboratorio,
cioè che l’integrazione è possibile se si condividono le stesse esperienze, se
si lavora fianco a fianco per un obiettivo comune. Solo attraverso questo tipo
di contatto, accanto alle diversità, si scoprono le cosiddette “cose che
accomunano”, che aumentano la vicinanza e fanno apprezzare perfino quello che
in effetti crea la distanza.
il soggetto
Francesco è un regista di San Donato sognatore e
dall’animo candido, che si è messo in testa di raccontare la sua periferia
attraverso la storia di un amore contrastato fra una ragazza rom e un ragazzo
del quartiere, un talentuoso e promettente pugile. Per questo organizza un
laboratorio cinematografico.
Ma da subito si presentano molti nodi da sciogliere.
Primo problema: nessuna ragazza rom risponde all’annuncio
per interpretare il ruolo della protagonista. Non solo: vani risultano i
tentativi di avvicinarne qualcuna.
Deciso a trovare la protagonista per il suo film,
Francesco dà inizio all’inchiesta sul mondo rom, un universo col quale è sempre
stato a contatto, ma del quale non conosce nulla o quasi. Riesce a entrare
nelle case dei rom e nelle roulotte dei sinti grazie alla generosa
collaborazione dei tre ragazzi che hanno accettato di partecipare al
laboratorio: Moreno, Enrico e Samira, i primi due rom, l'ultima sinta. Moreno è
uno studente universitario ambizioso e determinato, che si paga gli studi
consegnando il pane al mattino presto; Enrico, suo cugino, dal carattere focoso
e intransigente, lavora come operaio in una ditta edile; Samira, determinata e
volitiva, gira col suo banchetto di crepes nelle feste patronali. Introdotto da
loro, Francesco entra in quello che è sempre stato un mondo chiuso e intricato
e comincia a sbrogliarlo.
Quella che gli si snoda davanti è una società di tipo
patriarcale, in cui le donne indossano ancora le gonne lunghe e in cui le nuove
generazioni fanno fatica a trovare un posto di lavoro e vivono il conflitto con
le abitudini e le inclinazioni del nostro tempo, pur con un forte sentimento di
orgoglio per le proprie usanze e tradizioni.
Ma, come fosse cieco di fronte a tutto questo, Francesco
non desiste: continua a pensare al film che ha scritto e vorrebbe girare.
E non dà troppo peso al fatto che, paradossalmente, questa
collettività, tenuta ai margini, svolge nel quartiere un’azione sociale di
recupero dei ragazzi dalla strada attraverso la palestra di pugilato gestita da
Guido Di Rocco, ex boxeur, padre di Moreno.
Una realtà che cozza decisamente con l’immagine
stereotipata che vuole i rom dediti soltanto ad affari illegali.
Peccando di ingenuità e, a volte, per generosità, di poco
tatto, Francesco si muove come un pachiderma in una cristalleria, candidamente
urtando i sentimenti dei ragazzi e di quelli che, attraverso di loro, incontra
sul suo cammino. In particolare è Enrico, uno dei ragazzi rom, a contrastare
continuamente le idee del regista, accusandolo di superficialità e difetto di
“verità” nel raccontare il loro mondo. Oggetto della discordia diventa Samira,
sinta sposata con un gagè, che accetta di partecipare alle prove. Per Enrico
lei è troppo diversa, troppo emancipata per interpretare una ragazza rom.
Risultato? Dopo un teso, ennesimo confronto tra Enrico e Francesco, il
laboratorio salta e vani si rivelano i tentativi di recupero.
Francesco è frastornato, non sa cosa fare. Per di più, se
non porterà a termine il progetto, se non avrà un film, non potrà ricevere il
finanziamento promesso dal politico per pagare la troupe e il suo lavoro.
Decide, così, di non darsi per vinto: si presenta in palestra per allenarsi. In
questo modo, pensa che potrà continuare la sua indagine sul mondo rom.
La finalità del suo agire è, però, evidente agli altri
della palestra. Per smascherare le intenzioni del regista, Moreno, Enrico e
Guido decidono che il nostro non la passerà liscia e, soprattutto, non in modo
indolore. Complice suo malgrado la stessa troupe che documenta il tutto,
Francesco è messo sotto torchio con allenamenti duri ed estenuanti che
dovrebbero addirittura portarlo sul ring ad affrontare Enrico.
Pressato dai duri allenamenti, il regista sta per
capitolare, ma il clima ilare del club viene offuscato dalle vicende della
palestra di pugilato che prendono una brutta piega: il comune vuole indietro i
locali concessi al club. Moreno e gli altri non sanno come salvare il
salvabile. Allora Francesco ha un’idea. Farà quello che sa veramente fare, una
“cosa da gagè”: realizzerà per loro uno spot, un video, che testimoni la
funzione sociale della palestra nel quartiere. Sarà questo il modo per
utilizzare parte dei fondi del film. Tutti sono entusiasti e si rendono
disponibili.
Siamo alla serata di presentazione dello spot. Le ultime
immagini scorrono sullo schermo. Poi, uno scroscio di applausi calorosi da
parte dei numerosi rom intervenuti alla proiezione. Si accendono le luci.
Nell’entusiasmo colorito dei ragazzi della palestra, il politico-producer si
avvicina a Francesco per dirgli che sì, il comune provvederà a dare loro un
locale, ma lui si scordasse di percepire anche un solo euro per quello che non
è un film.
Quello che resta di questa storia sono le immagini di
Enrico che lavora agli impianti elettrici in un cantiere; di Samira nella sua
roulotte dove è tornata a vivere; di Moreno che accompagna Francesco sulla
collina di San Donato per mostrargli la roulotte dov’è nato.
note di regia
La
modalità di racconto scelta per il film si articola su tre livelli di
narrazione:
-
la
vicenda principale dell’incontro fra il regista e il mondo rom;
- la raccolta di
interviste e testimonianze all’interno del mondo rom, che costituiscono
l’indagine documentaristica tout court;
-
le scene
di fiction vera e propria, che portano alla ribalta la famiglia del regista, e
che si inseriscono nella narrazione principale a commento immaginato e comico
delle vicende reali.
I
tre livelli di narrazione, che s’intrecciano tra loro, costituiscono lo stile
del film: a commento della vicenda reale che si sta svolgendo (conoscenza del
mondo rom attraverso le interviste e la palestra di pugilato, gestita dai rom),
intervengono, da un lato, la storia inscenata nel laboratorio di preparazione
al film, dall’altro, i commenti e le reazioni immaginate della famiglia del
regista, che porta alla ribalta tutti i pregiudizi e le stereotipie del sentire
medio comune.
Quello
della sua famiglia è il mondo del regista, l’unico mondo che può raccontare in
fiction proprio perché, a differenza di quello rom che gli sfugge e lo
travolge, questo gli appartiene sul serio. Il film che il regista aveva scritto
rimane il sogno che lo accompagna per tutta l’indagine della sua periferia e
che gli dà la possibilità di mettere in ridicolo se stesso e la sua iniziale
onniscienza.
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